Tuttavia, nei rapporti tra i conviventi, il discorso si fa più complesso[5], anzitutto considerando che, secondo la Costituzione, “la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”[6].
E, come autorevolmente sostenuto in dottrina, “questo riferimento al matrimonio segna un sicuro limite rispetto alla famiglia di fatto, e cioè rispetto alla famiglia sorta dalla semplice convivenza personale”, tanto che “la coppia che non legalizza la propria unione esercita una libertà che la sottrae al complesso di impegni e diritti che caratterizzano l’unione solennizzata dal matrimonio”[7].
Con la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie, quindi, deve ritenersi che:
– dalla convivenza non nasce un impegno di continuità del vincolo[8], per cui l’interruzione non è titolo per pretese alimentari o di mantenimento[9], né risarcitorie[10] e né restitutorie[11];
– dalla mera convivenza di fatto (ancorché stabile e duratura) non derivano inoltre quegli obblighi (fedeltà, assistenza, coabitazione, ecc.) che sono propri ed esclusivi del matrimonio[12];
– la possibilità del convivente more uxorio di ottenere una remunerazione per la collaborazione e l’assistenza prestata nel periodo della convivenza stessa presupporrebbe che tale collaborazione potesse configurarsi come prestazione di lavoro subordinato, mentre la giurisprudenza ribadisce la presunzione di gratuità della collaborazione[13];
– la norma sull’assegnazione della casa familiare al coniuge separato[14] non prevede che tale assegnazione possa aver luogo anche a favore del convivente[15]. Pertanto, “il partner non proprietario o non titolare del diritto di godimento sulla casa paraconiugale, se scacciato[16], non avrà alcun diritto alla abitazione né potrà far valere una situazione possessoria che la giurisprudenza prevalente nega, assimilando il partner ad un ospite”[17];
– non essendoci ovviamente nessun regime patrimoniale legale tra i conviventi, i beni acquistati singolarmente nel corso della convivenza sono in proprietà individuale dei conviventi stessi, salvo le ipotesi di comunione ordinaria[18]. A questo proposito, vale ricordare che “nell’ipotesi di cointestazione di un conto corrente bancario, alla cessazione della convivenza more uxorio le somme a credito del conto devono considerarsi appartenenti in parti uguali a ciascuno dei conviventi, ancorché sia pacifico in causa che soltanto l’uomo, col suo lavoro di pubblico dipendente, aveva originariamente la proprietà delle somme via via depositate, mentre la donna, durante la convivenza, s’era completamente dedicata alla famiglia di fatto come casalinga, giacché le somme risparmiate e come sopra depositate sul conto contestato devono considerarsi destinate alle spese riguardanti la famiglia stessa, secondo gli usi”[19];
– nessun diritto alla successione legittima è stato finora riconosciuto al convivente[20].
NOTE:
[1] Galgano, Manuale di diritto privato, pag. 752.
[2] Secondo tale disposizione, “il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli”.
[3] Cendon, Codice civile commentato, art. 147, pag. 397.
[4] Art. 30 Cost.
[5] Ne dà atto Gazzoni, Manuale di diritto privato, pag. 305.
[6] Art. 29 Cost. A tal proposito, si ricorda che, comunque, “un consolidato rapporto more uxorio non appare costituzionalmente irrilevante; peraltro, rientra nella valutazione politica del legislatore stabilire i limiti delle misure protettive occorrenti per la valorizzazione dei legami affettivi, esistenti nei rapporti di fatto instaurati fra i conviventi more uxorio” (Corte Costituzionale 18 novembre 1986 n. 237).
[7] Bianca, Trattato di diritto civile, Vol. II, pagg. 25 e 26. In giurisprudenza, cfr. Pretura Vigevano 10 giugno 1996, secondo cui “la convivenza more uxorio genera un rapporto di ospitalità reciproca”.
[8] A tal proposito, cfr. Corte Conti Regione Umbria 13/12/1995 n. 454, secondo cui “la convivenza more uxorio è basata sulla libera ed in ogni istante revocabile affectio quotidiana e si presenta come un rapporto concepito e voluto come di mero fatto dai diretti interessati, nel quale mancano i caratteri di stabilità o certezza e della reciprocità e corrispettività dei diritti e doveri che nascono soltanto dal matrimonio”.
[9] In giurisprudenza, v. Tribunale Napoli 8 luglio 1999, secondo cui “non sussiste, allo stato attuale della legislazione, alcun diritto al mantenimento o agli alimenti nei confronti del convivente more uxorio, concretando la convivenza una situazione di fatto, caratterizzata dalla precarietà e dalla revocabilità unilaterale, cui non si ricollegano diritti e doveri se non di carattere morale”. In dottrina, Bianca, Trattato di diritto civile, Vol. II, pagg. 28 e 33, il quale, inoltre, ricorda che sono nulli i contratti con cui i conviventi prevedessero una penale per il caso di “separazione” e con cui assumessero convenzionalmente l’obbligo di erogare prestazioni di assistenza all’ex convivente.
[10] Cfr. Gazzoni, Manuale di diritto privato, pag. 306, secondo cui “nessun rapporto è configurabile nemmeno se la rottura della convivenza è ingiustificata, non costituendo tale comportamento un illecito ex art. 2043 c.c.”.
[11] Le prestazioni alimentari a favore del convivente stabile costituiscano infatti, adempimento di una obbligazione naturale, cioè di un dovere sociale. Sul punto, v., ad es., Cass. n. 389/1975, Corte Appello Napoli 5 novembre 1999, nonché Tribunale Monza 18 novembre 1999, secondo cui “venuta meno una convivenza more uxorio per qualunque causa, non è possibile, sul piano strettamente giuridico, che un partner proponga contro l’altro un’azione di ripetizione dell’indebito per ottenere la restituzione di somme elargite al fine di sopperire a singole necessità del compagno, purché possa riscontrarsi un rapporto di proporzionalità tra le somme sborsate ed i doveri morali e sociali assunti reciprocamente dai conviventi”. Infatti, “l’attuale coscienza sociale qualifica come dovere morale non soltanto l’assistenza prestata ad uno dei due conviventi, ma anche l’esborso di somme d denaro effettuato sempre da uno a favore dell’altro al fine di sopperire alle singole necessità del compagno” (Tribunale Firenze 11 agosto 1986). In tema di obbligazioni naturali (cioè quelle relative ad obblighi morali e sociali), si ricorda, infine, che l’art. 2034 c.c. esclude la ripetibilità di quanto è stato spontaneamente prestato. In arg., cfr., infine Corte Appello Firenze 12 febbraio 1991.
[12] Cfr. art. 143 c.c.
[13] Cfr. Cass. n. 1161/1977, nonché Cass n. 1810/1980. Si ricorda, tuttavia, che tale presunzione di gratuità è mitigata dalla disciplina in tema di impresa familiare. Infatti, “al fine di stabilire se le prestazioni lavorative svolte nell’ambito di una convivenza more uxorio diano luogo ad un rapporto di lavoro subordinato oppure siano riconducibili ad una diversa causa che escluda il diritto alla retribuzione, si deve escludere il rapporto di lavoro subordinato in presenza di una comunanza di vita e interessi tra i conviventi”. (Pretura Sampierdarena 26 ottobre 1987.) Così, “del carattere contrattuale del rapporto deve dare la prova chi, per avvantaggiarsene, lo invoca” (Cass. n. 6083/1991). In argomento, v., infine, Tribunale
Genova 13 aprile 1998.
[14] Art. 155 c.c.
[15] La Corte Cost. n. 166/1998 ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale della norma de qua perché già in base al diritto vigente la casa familiare può essere assegnata all’ex convivente more uxorio affidatario dei figli minori o convivente con figli maggiorenni economicamente no autosufficienti. È chiaro, tuttavia, che i figli naturali devono essere di entrambi i conviventi… e tale assegnazione risponde all’esclusivo interesse dei figli e trova fondamento giuridico nel principio di responsabilità dei genitori.
[16] A tal proposito, si ricorda che il proprietario dell’immobile può esercitare l’azione di condanna al rilascio dell’immobile stesso nei confronti del proprio convivente more uxorio (Pretura Pordenone 18 marzo 1997). E, per converso, “è inammissibile l’azione di reintegrazione proposta dal convivente more uxorio non proprietario nei confronti del convivente proprietario, al fine di essere riammesso nell’abitazione ove si è svolta la relazione familiare di fatto (Pretura Vigevano 10 giugno 1996).
[17] Cfr. Gazzoni, Manuale di diritto privato, pag. 306, il quale però contesta tale costante orientamento giurisprudenziale.
[18] Cfr. Tribunale Torino 17 marzo 1988, secondo cui “in caso di convivenza more uxorio, ciascun bene mobile apportato dai partners per lo svolgimento della vita comune deve considerarsi conferito in comunione pro indiviso. V., pure, Tribunale Torino 24 novembre 1990, secondo cui “il convivente more uxorio che esercita il diritto di credito alla restituzione del tandundem deve provare che la consegna della res avvenne con l’intento di domandarne la restituzione”.
[19] Tribunale Bolzano 20 gennaio 2000.
[20] Bianca, Trattato di diritto civile, Vol. II, pag. 32.
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