Ne bis in idem e figli di un dio minore

Su molti media generalisti si è recentemente parlato del ne bis in idem.

La questione, seppur del tutto priva di interesse così per come è stata rappresentata al pubblico, può comunque fornirci qualche apprezzabile spunto.[…]

Il principio del ne bis in idem è espressamente codificato in materia penale, ove è appunto previsto il “divieto di un secondo giudizio” (art. 649 cpp).

Mentre in materia civile, ove (ovviamente) è infatti meno avvertito il forte garantismo che invece permea l’intero diritto penale, manca una espressa codificazione del “divieto di un secondo giudizio”.

Eppure, in quanto “rispondente a irrinunciabili esigenze di ordine pubblico processuale” (Cassazione civile, sez. un., 05 aprile 2007, n. 8527), lo si ricava comunque dall’art. 39 cpc[*], ovvero dall’art. 2909 cc[**].

Ebbene, a questo punto l’obiezione mi sembra facile.
Ricavare quel principio, così importante, dal tenore implicito di quei due predetti articoli “civili”, mi pare una palese forzatura interpretativa, soprattutto a fronte dell’esplicito tenore dell’art. 649 cpp.
D’altro canto, se davvero fosse un principio di ordine pubblico processuale, non ci sarebbe motivo di prevederlo espressamente neppure in sede penale, evidentemente.
Sull’argomento, l’approccio del Legislatore appare quindi contraddittorio, se non addirittura schizofrenico: se davvero principio giuridico importante, sarebbe opportuna una codificazione esplicita anche in sede civile; se davvero principio giuridico di ordine pubblico (processuale), non sarebbe necessario codificarlo esplicitamente neppure in sede penale.
Insomma, ciò che lascia perplessi è che di fronte ad un medesimo principio si siano adottate diverse (ed opposte) soluzioni.

Retorica ed ipocrisie a parte, la verità mi sembra semplicemente un’altra: il principio del ne bis in idem, nato per ovvie (e garantiste) ragioni in sede penale è mutuato in sede civile in forza di una disciplina per relationem.

Tale approccio legislativo, sebbene poco elegante, non deve scandalizzare, perché invero assai frequente nel nostro Ordinamento: di solito è una branca “minore” che adotta i princìpi vigenti in altri e più importanti settori.
Basti pensare alla procedura amministrativa, che mutua le norme del procedimento civile in quanto a tutt’oggi non gode ancora di un proprio autonomo codice di rito.
Si pensi altresì al ricorso straordinario in Cassazione ex art. 111 Cost.[***], espressamente riferito al processo penale ma comunque serenamente applicato anche al giudizio civile, secondo il predetto metodo di disciplina legislativa per relationem.

Certo, così come non fa piacere agli amministrativisti sentirsi figli di un dio minore rispetto ai civilisti, questi ultimi non hanno a loro volta piacere ad ammettere di far ricorso a princìpi mutuati dal processo penale, ma tant’è.
Mi pare.

_______
[*] Art. 39 cpc (stralcio)

Litispendenza e continenza di cause.
[I]. Se una stessa causa è proposta davanti a giudici diversi, quello successivamente adito, in qualunque stato e grado del processo, anche d’ufficio, dichiara con sentenza la litispendenza e dispone con ordinanza la cancellazione della causa dal ruolo.

[**] Art. 2909 cc
Cosa giudicata.
[I]. L’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa.

[***] Art. 111 Cost. (stralcio)
Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra.


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