In questa sede non interessa descrivere le modalità con cui si svolge il suddetto procedimento conciliativo né importa indagarne la ratio ispiratrice.
Preme invece evidenziare gli obblighi che in forza di tale normativa incombono all’avvocato dell’attore (ma, presumo, non anche a quello del convenuto neppure quand’anche agisca in riconvenzionale, in analogia con quanto si riteneva con riferimento al tentativo di conciliazione prescritto dall’art. 410 cpc, ora abrogato) nonché le eventuali conseguenze previste in caso di loro inosservanza.
Ebbene, all’atto del conferimento dell’incarico, l’avvocato ha l’obbligo di informare il proprio assistito:
1) del procedimento di mediazione disciplinato dal D.Lgs. n. 28/2010 e delle relative agevolazioni fiscali previste dagli articoli 17 e 20 D.Lgs. cit. (esenzione da bolli, tasse, imposta di registro, ecc.)
2) che l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale nelle materie di cui all’art. 5, co. 1, D.Lgs. cit. (a titolo meramente esemplificativo: condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica)
Poiché tali informazioni devono essere fornite per iscritto al cliente (e con un documento da allegare all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio), la via più semplice e sicura è quella di inserirle nella procura alle liti.
Con riferimento alle conseguenze per il caso di violazione dei predetti obblighi di informazione, la Legge prevede l’invalidità del contratto tra avvocato e assistito: trattandosi, in particolare, di annullabilità rimane ad esempio da capire a) se legittimato a farla valere ex art. 1441 cc sia il solo cliente (giacché la mediazione ha intenti deflattivi, e quindi potrebbe teoricamente ravvisarsi un interesse pubblico o diffuso a far valere tale annullabilità), b) che conseguenze abbia tale invalidità sostanziale (la quale ha effetto retroattivo) sugli atti del processo compiuti medio tempore, c) e altre cosette del genere.
Come ad esempio se vi sia l’ulteriore conseguenza della sanzione disciplinare, che a suo tempo l’inascoltato Consiglio Nazionale Forense (parere 30 ottobre 2009) aveva suggerito al Parlamento in alternativa alla predetta sanzione dell’annullabilità, e che -non è da escludere- forse consegue cumulativamente a quella, magari ex art. 40 codice deontologico.
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