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Mi riferisco, in particolare, all’evento morte: il soggetto deceduto continuerà ad avere, ad esempio, una casella di posta elettronica attiva e/o un proprio vitale account su facebook, ecc., con uno scollamento degli emisferi cui sopra accennavo, che smetteranno quindi di rappresentare la medesima realtà, giacché – a differenza di quello reale – il mondo virtuale dell’individuo è potenzialmente immortale.
Per i familiari, gli amici e gli eredi in genere può quindi sorgere la necessità di rendere nuovamente conformi tra loro le due realtà (magari ivi dando semplicemente atto del decesso del congiunto) oppure anche solo accedere ai diversi profili/account per necessità tra le più varie e comunque potenzialmente meritevoli di tutela (ad es., accesso al conto paypal del familiare deceduto).
Tuttavia, in mancanza di un testamento o comunque di una esplicita autorizzazione del defunto, quei congiunti superstiti hanno davvero modo e diritto di conoscere e/o utilizzare le password del congiunto passato suo malgrado a miglior vita?
Insomma, ove manchi una qualsivoglia manifestazione di volontà del de cuius (nel qual caso, mi pare, nulla quaestio), alla morte dell’individuo che fine fanno le sue password e tutti i suoi account? Può cioè riconoscersi ad alcuni soggetti il diritto di subentrare nella titolarità di quei diritti? Può, per converso, riconoscersi come meritevole di tutela l’interesse del de cuius stesso alla sorte post mortem dei propri “diritti di Internet”?
L’interesse, infatti, è duplice: da un lato, quello degli stretti congiunti che subentrerebbero in quei diritti, dall’altro lato quello di ogni singolo individuo a sapere che i propri diritti gli sopravviveranno (il che è “incentivo a produrre e accumulare e non solamente a consumare”: Gazzoni, Manuale, pag. 413).
Ebbene, alla morte di una persona si apre la sua successione ereditaria, secondo alcune regole ben precise (art. 456 e ss. c.c.), dettate ben prima dell’avvento di Internet e, soprattutto, della sua diffusione così capillare, tanto che ora l’ipotesi della successione ereditaria nei diritti di Internet può dirsi un fenomeno di interesse generale.
Ciò detto, con riferimento alle password di natura strettamente patrimoniale/economica, come ad esempio l’account homebanking o quello paypal, non mi pare sussistano problemi a che tali account entrino a far parte della successione mortis causa, dato che peraltro tale successione conseguirebbe, altrimenti e comunque, con il subentro degli eredi nel conto corrente bancario o paypal del defunto e cui quelle password si riferiscono.
Con riferimento invece alle password di natura personale il discorso, però, mi pare diverso.
E’ principio consolidato quello secondo cui non tutti i diritti ed i rapporti facenti capo al de cuius possono trasmettersi agli eredi. Non si trasferiscono, in particolare, i cosiddetti “diritti della personalità“, che appunto “muoiono” con la persona.
E, tra questi, vi è il diritto al nome ed allo pseudonimo, o – come si dice sul web – nickname.
Alla luce di quanto sopra, ed in mancanza di una diversa esplicita manifestazione di volontà dell’individuo, mi pare assai difficile sostenere che gli eredi possano legittimamente richiedere ai vari provider le password personali del congiunto scomparso e quindi subentrare in quegli account personali, anche al solo fine di “annotare” nei rispettivi profili la nuova mutata realtà, ossia il “decesso” dell’originario titolare.
Nel silenzio del de cuius, tale soluzione, seppur certamente drastica (e con alcune controindicazioni), mi pare consenta di tutelare – nel contemperamento dei vari interessi in gioco, ivi compresi quelli degli eredi a divenire titolari in universum jus dei rapporti del de cuius – l’identità e la privacy del titolare dell’account, il cui legittimo desiderio in vita è presuntivamente quello di non far sapere ai soggetti esclusi dal relativo account (i non-amici, su facebook; i non-iscritti, su una MailingList, ecc.), chiunque essi siano, ivi compresi i propri familiari, tutto ciò che si è detto o fatto attraverso quegli stessi account.
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