
Secondo l’art. 19, co. 2, Codice del Consumo, “La pubblicità deve essere palese, veritiera e corretta”, rischiando altrimenti di essere ingannevole.
Nel caso della pubblicità di Playboy, invece, il “falso” mi pare tutt’altro che grossolano, tanto da avermi spinto a verificare presso il sito del Notariato chi stava rischiando il proprio Sigillo, cioè di essere radiato dall’albo, per una pubblicità del genere (a tal proposito, si pensi che Baudo è stato sospeso dall’albo dei giornalisti proprio per aver fatto degli spot, peraltro non su beni di consumo -come dire- osè: piaccia o no, tant’è: tra le competenze degli Ordini e Collegi professionali c’è anche questa).
Ciò detto, se proprio si vuole trovare una ragione a tutto ciò, direi che essa sia duplice.
Da un lato, la relativa esiguità delle sanzioni dell’AGCOM per il caso di pubblicità non veritiere: come a dire, tentar non nuoce.
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