Secondo la recente riforma del processo civile (L. n. 69/2009) i fatti non specifica[ta]mente contestati dalla parte costituita sono posti dal Giudice a fondamento della propria decisione (nuovo art. 115 cpc). […]
L’introduzione esplicita di tale principio, che peraltro anche prima della citata novella era già autorevolmente sostenuto, non è stata tuttavia accompagnata da una corrispondente modifica dell’art. 167 cpc, che infatti -nel disciplinare il contenuto della comparsa di costituzione e risposta- impone sì al convenuto di “proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall’attore”, ma – a differenza della riconvenzionale, della chiamata in causa di terzo e delle eccezioni di rito e di merito – non prevede alcuna decadenza, giacché anzi “le mere difese e le conclusioni non sono assoggettate ad alcuna espressa preclusione” (cfr. questo quaderno del CSM -spec. nota 35). D’altra parte, analoghe considerazioni possono farsi con riferimento alle istanze istruttorie: anche queste, come le difese di cui sopra, andrebbero teoricamente proposte sin dalla comparsa di costituzione (art. 167, co.1 cit.), ma è del tutto pacifico che i relativi termini di decadenza siano invece da ricollegare alle successive memorie ex art. 183 cpc.
Riassumendo, il convenuto ha sì l’onere di contestare i fatti esposti da controparte (art. 115 cpc), ma può sempre farlo nel corso del processo, con un qualsiasi atto difensivo, e quindi anche in conclusionale o magari con la memoria di replica che è l’ultima difesa.
A ciò si aggiunga che, ovviamente, tali principi in tema di “onere di contestazione” non riguardano soltanto il convenuto ma entrambe le parti, quindi anche l’attore con riferimento ai fatti esposti dall’avversario e che non risultino già incompatibili con quanto dal medesimo già affermato in citazione.
Ebbene, qualora una tale contestazione difensiva avvenga in un momento processuale in cui siano già decorsi i termini per eventuali istanze istruttorie, occorre allora chiedersi se e quali conseguenze debba subire la controparte che non abbia richiesto di provare quei fatti fino ad allora non contestati.
Le possibili risposte -che personalmente mi paiono tutte parimenti sostenibili, sebbene con diversa efficacia argomentativa (che in questa sede tralascio)- mi paiono essere:
1) dichiarare la parte decaduta dalla prova relativamente al fatto contestato;
2) rimettere in termini la parte ex art. 153 cpc (già 184 bis);
3) ritenere tardiva la contestazione espressa quando sia già scaduto il termine processuale per offrirne la relativa prova contraria.
Segnalo che la tesi di cui al numero 2 è per esempio prospettata, sebbene en passant, da Balena G., Onere di contestazione delle avverse allegazioni, in GaD, n. 27/2009, pag. 113, in fine.
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