Gli effetti della separazione e del divorzio sull'impresa familiare

Indice:
§ 1. L’impresa familiare.
§ 1.1. Il diritto al mantenimento.
§ 1.2. Il diritto agli utili ed agli incrementi.
§ 2. La cessazione dell’impresa familiare.
§ 2.1. Gli effetti della separazione personale tra coniugi sull’impresa familiare.
§ 2.2. Esclusione del diritto alla partecipazione e recesso del partecipante.
§ 2.3. Il diritto alla liquidazione della quota.
* * *

§ 1. L’impresa familiare.

L’impresa familiare, così come disciplinata dall’art. 230 bis c.c. [1], si fonda sull’affectio familiare e ha uno scopo più ampio di quello economico, e cioè anche quello dell’assistenza morale, spirituale e materiale[2]. Essa presuppone che i familiari interessati convivano, svolgano un’attività nell’ambito della famiglia e non anche necessariamente nell’ambito dell’impresa familiare[3], poiché ha anche rilevanza l’attività di lavoro continuativamente prestata nella famiglia[4].

L’impresa familiare rimane comunque un’impresa individuale[5], poiché “preoccupazione del legislatore non è quella di modificare la posizione dell’imprenditore nei confronti dei terzi o la sua responsabilità, ma è quella di puntualizzare la posizione dei familiari che collaborano con l’imprenditore nell’ambito dell’impresa o della famiglia, riconoscendo agli stessi, oltre al diritto al mantenimento, una partecipazione agli utili in proporzione della quantità e della qualità del lavoro prestato e attribuendo agli stessi un potere di codeterminazione con l’imprenditore per quanto attiene all’impiego degli utili e degli incrementi, alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell’impresa, potere da esercitare mediante una deliberazione a maggioranza”[6].

Quindi, il familiare che presta in modo continuativo la propria opera in seno alla famiglia o nell’ambito aziendale ha diritto al mantenimento in relazione alla condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa, ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in proporzione alla qualità ed alla quantità del lavoro prestato[7].

§ 1.1. Il mantenimento.

Come accennato, il partecipante ha diritto (in quanto presta e finché presterà attività lavorativa) al mantenimento, cioè a ricevere la somministrazione di tutto l’occorrente a soddisfare le esigenze di vita nei limiti delle condizioni patrimoniali dell’imprenditore[8]. È da ritenere che il mantenimento: a) non sia cumulabile con quello che allo stesso soggetto possa competere ad altro titolo; b) sia dovuto indipendentemente dalla qualità e dalla quantità del lavoro prestato[9].

§ 1.2. Il diritto agli utili ed agli incrementi.

L’art. 230 bis c.c. riconosce al lavoratore familiare un compenso sotto forma di partecipazione agli utili, cioè ai proventi dell’impresa al netto dei costi e delle perdite[10]. Poiché di utili è possibile parlare solo dopo il loro accertamento, sono tali solo quelli risultanti dal rendiconto di esercizio che l’imprenditore ha l’obbligo di presentare annualmente[11]. In caso di contestazione del rendiconto o di mancata sua presentazione, i familiari possono rivolgersi al giudice proponendo nella prima ipotesi domanda di accertamento giudiziale dell’utile prodotto, nella seconda una richiesta giudiziale di rendiconto[12].

La valutazione della quota di partecipazione agli utili spetta all’imprenditore, ma è sindacabile dal familiare collaboratore: per la relativa valutazione si deve tener conto dell’effettiva qualità e quantità del lavoro prestato nell’anno[13].

Infine, la prevalente dottrina ritiene che, salvo diversa decisione a maggioranza, la concreta distribuzione degli utili vada effettuata al momento della cessazione dell’impresa familiare, ovvero dello scioglimento del rapporto limitatamente al singolo partecipante[14].

Qualora l’imprenditore impieghi gli utili per l’acquisto di un bene, inoltre, il partecipante ha diritto di percepire, in ragione della quantità e qualità del lavoro prestato, una somma di denaro proporzionale al valore del bene al momento del suo trasferimento[15].

Quanto al diritto agli incrementi, valgono le considerazioni svolte con riferimento agli utili, con la precisazione che per incrementi si intende l’aumento di valore dell’azienda nel complesso o di alcuni suoi componenti, ivi compreso l’avviamento[16].

§ 2. La cessazione dell’impresa familiare.

L’impresa familiare può cessare per svariati motivi (ad es., morte dell’imprenditore, ecc.), ma quelli di cui qui occorre occuparci sono: l’esclusione e il recesso del partecipante, nonché gli effetti della separazione sull’impresa familiare.

§ 2.1. Gli effetti della separazione tra coniugi sull’impresa familiare[17].

Per quanto riguarda gli effetti che la separazione tra coniugi o lo scioglimento del matrimonio producono sull’impresa familiare, la dottrina e la giurisprudenza – autorizzate a ciò dal silenzio del legislatore – hanno prospettato molteplici e contrastanti soluzioni[18]. Tra le varie teorie, quella che comunque ha avuto maggior credito è quella secondo cui “la separazione personale non produce di per sé la cessazione del rapporto di impresa familiare ove alla stessa non si accompagni pure il venir meno dell’attività lavorativa”[19].

La dottrina prevalente esclude infatti che la separazione personale possa incidere sullo svolgimento del rapporto di impresa familiare, e questo perché essa non determina il venir meno dello status di coniuge; anche se non si nasconde che di frequente la separazione provochi il recesso del coniuge separato[20]. In linea di principio, infatti, si ritiene che non possa escludersi che il coniuge, ancorché separato e liberato dall’obbligo di coabitazione, continui a prestare la propria attività di lavoro nell’impresa familiare (e non anche nella famiglia): ma poiché il caso di più frequente ricorrenza è quello del recesso conseguente alla separazione, i diritti patrimoniali del coniuge recedente vanno indicati ai sensi indicati dall’art. 230 bis c.c. [21].

Non manca tuttavia chi ritiene che, sebbene la separazione non incida (ancora) sullo status di coniuge, incide invece sulla famiglia, non più unita dalla sostanziale comunione di vita e lavoro, che caratterizza l’impresa familiare. Per questo motivo si è ritenuto che l’impresa familiare cessi alla data del provvedimento del presidente del tribunale emesso ex art. 708 c.p.c. [22], in virtù di quell’esigenza di carattere generale secondo cui è necessario evitare la permanenza dei rapporti patrimoniali tra coniugi quando la comunione spirituale e materiale di vita e di affetti, che ne costituisce il fondamento, sia venuta meno[23]. D’altra parte, nulla esclude che nell’ipotesi in cui la separazione (così come il divorzio o l’annullamento del matrimonio) non determini un particolare deterioramento dei rapporti e non costituisca una minaccia alla serenità di gruppo, il coniuge (o l’ex coniuge) possa, magari in considerazione della particolare utilità ed efficacia dell’attività svolta, continuare a prestare la propria opera all’interno dell’impresa[24]. Anche l’ex coniuge che non cessi di prestare il proprio apporto lavorativo rimane compartecipe dell’impresa[25].

Perde la condizione presupposta dalla legge il coniuge quando siano cessati gli effetti civili del matrimonio, mentre non producono questo effetto la separazione di fatto e il provvedimento con il quale viene dichiarata la separazione legale o viene omologata la separazione consensuale, salvo che la collaborazione resa dal coniuge non possa essere prestata che in seno alla famiglia[26].
In conclusione, sul tema che ci occupa è possibile riassumere i diversi orientamenti riportando le conclusioni cui è giunta una parte della giurisprudenza, secondo cui: “l’impresa familiare costituita solo dai due coniugi cessa a seguito dell’autorizzazione data dal presidente del tribunale a vivere separatamente, in pendenza del procedimento per la separazione personale dei coniugi, per il venir meno di quella comunione di tetto e di mensa su cui si fondava detta impresa; infatti, a tale fattispecie deve ritenersi applicabile l’art. 2272, n. 2, c.c., il quale prevede lo scioglimento della società semplice per sopravvenuta impossibilità di conseguire l’oggetto sociale”[27], nonché quelle diverse cui è invece giunta altra giurisprudenza, secondo cui “la separazione personale dei coniugi non determina l’automatica cessazione dell’impresa familiare, né del singolo rapporto di partecipazione alla stessa”[28].

§ 2.2. Esclusione del diritto alla partecipazione e recesso del partecipante.

Lo scioglimento del rapporto relativamente al singolo partecipante può essere l’effetto della perdita per qualsiasi ragione dello status di familiare, nonché della cessazione della prestazione di lavoro per effetto del recesso del familiare[29] o dell’imprenditore: in tali casi, il diritto di partecipazione può essere liquidato in denaro, con pagamenti anche in tranche annuali[30] (v. oltre, § 2.3).

A tal fine si è precisato che “il potere di far cessare il rapporto rispetto al singolo socio spetta solo all’imprenditore salvo il diritto dell’escluso, ove non vi sia un motivo idoneo a giustificare l’esclusione, al risarcimento del danno oltrechè alla liquidazione degli utili e degli incrementi[31].

Può determinare lo scioglimento del rapporto di impresa familiare il recesso del familiare lavoratore[32], la cui volontà di recedere può desumersi anche da un comportamento concludente[33].

Si è negato, invece, che l’imprenditore – constatata la particolare natura dell’impresa familiare – possa ricorrere alla disciplina detta per l’esclusione dalla società né a quella prevista in tema di licenziamento, anche se da parte di alcuni si è profilata l’idea che il partecipante possa essere escluso dall’imprenditore ove ricorra una giusta causa (in mancanza, risarcimento del danno)[34].

§ 2.3. Il diritto alla liquidazione della quota.

Secondo il 4° comma dell’art. 230 bis c.c., il diritto di partecipazione “può essere liquidato in denaro alla cessazione, per qualsiasi causa, della prestazione del lavoro”. La formula facoltativa (“può”) consentirebbe che la quota non venga liquidata affatto[35], ma dai più si ritiene che il diritto non sia sopprimibile e la relativa valutazione della quota debba essere effettuata con riguardo al momento in cui si verifica l’estinzione del rapporto[36].

NOTE:
[1] Tale articolo mira a tutelare i familiari dell’imprenditore che prestino di fatto in modo continuativo la loro attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa del loro congiunto: Torrente, Manuale di diritto privato, pag. 896, nonché Cendon, Codice civile commentato, art. 230bis, Vol. I, pag. 510. Inoltre, trattandosi di disciplina attinente a prestazioni di lavoro, sia pure qualificata dal vincolo di parentela, affinità o coniugio, essa è da considerare normativa di ordine pubblico, imperativa ed inderogabile: v. Tanzi, in Enc. Diritto, voce Impresa Familiare (diritto commerciale).

[2] Ferri, Diritto Commerciale, pag. 51 e ss.

[3] La stretta relazione tra famiglia e impresa trova significativa espressione nella valorizzazione del lavoro svolto nella prima; è innegabile del resto la difficoltà di distinguere nelle imprese a conduzione familiare tra ambito della famiglia ed ambito aziendale: ed è proprio questa compenetrazione che induce a guardare alla distinzione tra lavoro nella famiglia e lavoro nell’impresa come ad una divisione interna di un unico programma economico. Tuttavia, non ogni prestazione di lavoro resa nella famiglia è sufficiente ad attribuire la qualità di partecipante, ma soltanto un’attività casalinga “qualificata” dalla sua pertinenza all’impresa, cioè in grado di tradursi in servizi, direttamente o indirettamente, sfruttabili in quest’ultima: si pensi, ad es., al caso in cui il coniuge si impegna nell’attività domestica oltre quanto ha il dovere di compiere nei riguardi della propria famiglia al precipuo scopo che altri familiari dedichino le loro energie esclusivamente all’impresa: Tanzi, in Enc. Diritto, voce Impresa Familiare (diritto commerciale). Nello stesso senso, Nuzzo, L’impresa familiare, in Il diritto di famiglia, Vol. II, Il regime patrimoniale della famiglia, pag. 438.

[4] Ferri, Diritto Commerciale, pag. 51 e ss.

[5] Opinione dominante: cfr., in dottrina, Tanzi, in Enc. Diritto, voce Impresa Familiare (diritto commerciale); in giurisprudenza, v. Cass. n. 4030/92, secondo cui “l’impresa familiare ha natura individuale e non collettiva (societaria o non), per cui l’attribuzione della qualità di imprenditore non spetta a tutti i partecipanti bensì a quello soltanto rispetto al quale siffatti rapporti si identificano”.

[6] Ferri, Diritto Commerciale, pag. 51 e ss.

[7] Tanzi, in Enc. Diritto, voce Impresa Familiare (diritto commerciale).

[8] Tanzi, in Enc. Diritto, voce Impresa Familiare (diritto commerciale).

[9] V. Cendon, Codice civile commentato, art. 230bis, Vol. I, pag. 510. Cfr., pure, Tanzi, in Enc. Diritto, voce Impresa Familiare (diritto commerciale).

[10] Cfr. Nuzzo, L’impresa familiare, in Il diritto di famiglia, Vol. II, Il regime patrimoniale della famiglia, pag. 438, nonché Tanzi, in Enc. Diritto, voce Impresa Familiare (diritto commerciale).

[11] Tanzi, in Enc. Diritto, voce Impresa Familiare (diritto commerciale).

[12] Tanzi, in Enc. Diritto, voce Impresa Familiare (diritto commerciale).

[13] Tanzi, in Enc. Diritto, voce Impresa Familiare (diritto commerciale).

[14] Cendon, Codice civile commentato, art. 230bis, Vol. I, pag. 521.

[15] Tanzi, in Enc. Diritto, voce Impresa Familiare (diritto commerciale).

[16] Tanzi, in Enc. Diritto, voce Impresa Familiare (diritto commerciale).

[17] Bonilini, Lo scioglimento del matrimonio, in Il codice civile commentato a cura di Schlesinger, pag. 435 e ss., sottolinea come l’assenza di una norma che disponga esplicitamente riguardo ai riflessi che la separazione tra coniugi o lo scioglimento o l’annullamento del matrimonio produce sull’impresa familiare “legittima la profonda disparità di opinioni espresse sul punto; secondo alcuni si avrebbe l’automatico scioglimento dell’impresa familiare, secondo altri importa non già l’automatico scioglimento ma giustificherebbe l’esclusione, secondo altri , venuta meno la qualità di coniuge verrebbe meno la stessa impresa”.

[18] Cendon, La famiglia, Vol. II, pag. 528 e ss.

[19] Cfr. Cass. 5741/1991; nello stesso senso, Cendon, La famiglia, Vol. II, pag. 528 e ss.

[20] Cendon, La famiglia, Vol. II, pag. 528 e ss.

[21] Florio e Calcioli; conforme Cendon, La famiglia, Vol. II, pag. 528 e ss.

[22] In tal senso, v. Tribunale Vicenza n. 504/85, Pretura Santhià 14 luglio 1986. Adesivo Cendon, La famiglia, Vol. II, pag. 531, il quale si chiede come mai possa permanere il rapporto di impresa familiare, quando il presupposto che ne è alla base – vale a dire la comunione di vita e di affetti, il vincolo di solidarietà e contribuzione reciproca – sia venuto meno.

[23] Cendon, La famiglia, Vol. II, pag. 532.

[24] Cfr. Cendon, La famiglia, Vol. II, pag. 532, secondo cui in tal caso non si tratterà più di un rapporto disciplinato dall’art- 230 bis c.c., ma dalla disciplina generale in tema di lavoro subordinato.

[25] Bonilini,
Lo scioglimento del matrimonio, in Il codice civile commentato a cura di Schlesinger, pag. 435 e ss. Cfr. pure Bianca, Vol. II.

[26] Tanzi, in Enc. Diritto, voce Impresa Familiare (diritto commerciale). Ivi, numerosi richiami di dottrina e giurisprudenza.

[27] Pretura Vallo Lucania, 22 ottobre 1997.

[28] Cass. 22 maggio 1991 n. 5741.

[29] V. Cass. 13390/92, secondo cui “la cessazione dell’impresa familiare può verificarsi, nonostante il perdurare della qualità di familiare (nella specie, coniuge), per la manifestazione di volontà di recesso del collaboratore, desumibile anche da un comportamento concludente”.

[30] Tanzi, in Enc. Diritto, voce Impresa Familiare (diritto commerciale).

[31] Nuzzo, L’impresa familiare, in Il diritto di famiglia, Vol. II, Il regime patrimoniale della famiglia, pag. 453.

[32] Cfr., sul punto, Cass. N. 6069/1984.

[33] Cass. n. 13390/1992.

[34] Cendon, La famiglia, Vol. II, pag. 565. V. pure Cass. n. 8959/1992. In caso di controversia in merito ai diritti patrimoniali in tema di impresa familiare, la competenza è quella del giudice del lavoro (Cass. n. 8033/1997, 891/1988).

[35] In questo senso, Oppo e Colussi. Contra, Tanzi, in Enc. Diritto, voce Impresa Familiare (diritto commerciale).

[36] Cendon, La famiglia, Vol. II, pag. 566.

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