Gli atti ed i documenti da depositarsi tramite PCT devono essere “privi di elementi attivi” ((Artt. 12 e 13 Provvedimento DGSIA 18 luglio 2011, emanato in attuazione del DM Giustizia n. 44/2011 (Regole tecniche o Regolamento) (come mod. dai ddmm 209/12 e 48/13.)).
Ma, esattamente, cosa si intende per “elementi attivi”?
E, inoltre, che portata deve attribuirsi alla esemplificazione (peraltro specificata solo con riferimento ai documenti allegati ma senz’altro riferibile anche agli atti) “tra cui macro e campi variabili” ((Art. 13 cit.))?
Ebbene, per rispondere alle due domande direi sia opportuno partire anzitutto dalla ratio del citato divieto, che è evidentemente quella di impedire che un file depositato in giudizio tramite PCT possa subire delle modifiche (più o meno automatiche) successive al deposito stesso, aggirando così le norme in tema di preclusioni processuali e di tutela del contraddittorio. Senza considerare inoltre che la modifica automatica di un file successiva alla sua sottoscrizione farebbe venir meno il valore della firma digitale (che dopo la modifica stessa non sarebbe più verificabile) ((L’acuta osservazione è di Francesco Paolo Micozzi.)). Infatti, come abbiamo visto trattando della firma digitale, la regola de qua è generale e non vale solo per il PCT: infatti, ogni documento informatico sottoscritto digitalmente deve essere privo di “macroistruzioni o codici eseguibili, tali da attivare funzionalità che possano modificare gli atti, i fatti o i dati nello stesso rappresentati” ((Art. 3, co. 3, DPCM 30 marzo 2009. In arg. cfr. pure DPCM 22 febbraio 2013 (Regole tecniche in materia di generazione, apposizione e verifica delle firme elettroniche avanzate, qualificate e digitali).)).
Per tali ragioni, è allora agevole ricomprendere nella categoria degli “elementi attivi” vietati le due esemplificazioni fatte dallo stesso Ministero (per bocca della DGSIA) e cioè le macro e i campi variabili.
Ma con le seguenti precisazioni.
Anzitutto, nessun dubbio che alcuni campi attivi, come ad esempio quelli dei pdf compilabili, ancorché rarissimi nella pratica giudiziaria, siano senz’altro ricompresi nel divieto in parola, che però non pare possa valere indiscriminatamente per tutti i campi attivi. Ad esempio, la generazione automatica del numero delle pagine avviene proprio tramite comandi di campo, ma a nessun cancelliere, nemmeno al più pignolo, verrebbe ovviamente in mente di respingere il deposito di un atto le cui pagine fossero così numerate.
Inoltre, sempre per restare nell’ambito dei due esempi fatti dalla DGSIA, le macro (ad esempio, quella che aggiorna automaticamente la data ad ogni apertura del documento) smettono di essere tali cioè di funzionare come macro dopo che il file viene convertito in PDF, ovvero nel formato idoneo al deposito tramite PCT. Quindi le macro potranno continuare ad essere utilizzate nel momento in cui redigiamo l’atto con il nostro editor di testi (Word, Open Office, Libre Office), sicuri del fatto che di esse non rimarrà traccia un volta che il file sarà convertito o trasformato in pdf ai fini del deposito tramite PCT. Se così è, ed è così senz’altro, non vedo che spazio di operatività vi sia per il divieto in parola con specifico riferimento alle macro (che del divieto stesso dovrebbero addirittura rappresentare l’esemplificazione più emblematica).
E fin qui possiamo intanto tirare una parziale somma: le due citate esemplificazioni offerteci del Ministero sono in realtà eventi rarissimi (moduli compilabili), non assoluti (i campi ininfluenti, come ad es. le note a pie’ di pagina) e comunque da intendersi cum grano salis perché in realtà nient’affatto vietate (le macro da editor a pdf).
Ciò detto, siccome gli esempi fattici dalla DGSIA non ci sono stati di grande aiuto, dobbiamo provare a procedere con le nostre gambe, e trovare quindi autonomamente il modo di riempire di contenuto la definizione “elementi attivi”. Ma forse, più che riempire, conviene svuotare.
Quindi, pur con qualche iniziale titubanza da parte di alcune Cancellerie, deve allora ritenersi che “elementi attivi” significhi “parti del testo potenzialmente modificabili da una sorgente esterna” ((La felice sintesi definitoria è di Giovanni Rocchi.)).
Conseguentemente, deve anzitutto ritenersi ammesso, proprio perché non ricompreso nell’ambito di operatività del citato divieto di “elementi attivi”, l’inserimento di immagini incorporate nel file pdf testuale, che ciononostante mantiene invariata tale sua natura, conforme alle regole tecniche ((Artt. 12 Provvedimento DGSIA 18 luglio 2011, emanato in attuazione del DM Giustizia n. 44/2011 (Regole tecniche o Regolamento) (come mod. dai ddmm 209/12 e 48/13)), le quali infatti, da un lato, richiedono che l’atto principale sia un pdf non scannerizzato (come appunto nella specie) e, dall’altro lato, consentono che in detto file pdf testuale siano inseriti elementi non attivi (come appunto una banale ed inattiva jpg incorporata nel testo).
In secondo luogo, devono altresì ritenersi tecnicamente ammissibili anche i link, che NON sono infatti elementi attivi.
Ciò vale sicuramente per i link interni o segnalibri (ad es., il rinvio ai vari paragrafi dell’atto).
Per quelli esterni, invece, le perplessità non riguardano tanto il citato divieto (non costituendo essi, tecnicamente, un “elemento attivo” nel senso appena chiarito), quanto piuttosto il fatto che il link ad una risorsa esterna appare violare la ratio sottostante al divieto stesso, cioè -come detto- quello di evitare che l’atto o documento depositato possa beneficiare di integrazioni successive al deposito stesso, e, ovviamente, un link del genere conduce ad un contenuto estraneo al processo, che è modificabile in ogni tempo e senza controllo, così vanificando la citata ratio. Effettivamente, un tale strumento potrà quindi essere un problema in termini di tutela del contraddittorio (si pensi alla pagina linkata che venga modificata dopo la scadenza del termine per le repliche), ma a mio avviso le attuali regole tecniche non consentono di vietare l’inserimento di link del genere negli atti, quindi la soluzione va cercata altrove ed esula pertanto dal tema di questo articolo. In tale sede è quindi sufficiente rilevare quanto segue. A parte la semplicità nell’aprirlo, cosa cambia da un punto di vista sostanziale tra un link contenuto in un atto giudiziario del PCT e quello indicato in una tradizionale citazione cartacea? In questo secondo caso, che nella pratica è frequentissimo, a qualcuno è mai venuto in mente di eccepire la violazione del contraddittorio? E perché, allora, questo rinvio tecnologico ammesso nel processo tradizionale dovrebbe essere vietato proprio nell’ambito del processo tecnologico per antonomasia? Il discrimine di ammissibilità consiste davvero nella presunta pigrizia del giudice, che nel caso di atto cartaceo non ricopia a manina quel link nel proprio browser? Una inammissibilità processuale del genere, fondata sull’accidia presunta dei giudici, non credo supererebbe il vaglio di costituzionalità.
In definitiva, stante quanto sopra, il file depositabile tramite PCT ben può avere il seguente contenuto. In via sperimentale, tale atto è stato depositato con una busta telematica (nella specie, tramite il redattore convenzionato con il COA di ROMA), e non sono stati riscontrati problemi tecnici di sorta: il deposito, insomma, non è stato rifiutato ((Grazie al Collega Andrea Pontecorvo del Foro di Roma per aver effettuato l’esperimento di test.)). Non appena avrò notizia, riferirò altresì l’esito dei controlli automatici e “umani”: il test ha avuto esito positivo, come segnalato dal collega Pietro Calorio -che ringrazio- in questo articolo.
Infine, pur non costituendo fonte del diritto né interpretazione autentica in senso stretto, di indubbio interesse è la email della DGSIA in risposta alla richiesta del Collega Roberto Arcella, nella quale si conferma che le immagini incorporate sono effettivamente ammissibili, così come i link a risorse esterne. Parimenti interessante, peraltro, è il passaggio in cui la DGSIA ammette anche la possibilità (tecnica) che il link possa puntare a documenti allegati.